il Giappone in Italia


Bushido


Chi si appassiona al Giappone avrà sicuramente sentito nominare il Bushidō, ma, come per tante realtà legate al Sol Levante, dietro a questo termine c’è molto più di quello che appare…

Se analizziamo il termine Bushidō (武士道) vediamo che è composto da due kanji, Bushi  武士 e Dō  .

Il secondo è ben conosciuto, e di solito viene tradotto come “via”, “cammino”, anche se in realtà sottende altri significati ben più ampi, e in questo contesto si può tradurre bene con “morale”, “dottrina”. Il termine Bushi è ancora più complicato, ma in questo contesto possiamo tradurlo banalmente con “guerriero”.

Quindi Bushidō significa, letteralmente “la via del guerriero” o, meglio, “la morale del guerriero”. 
 

Generalmente in occidente il Bushidō viene confuso con le Arti Marziali in genere, ma in realtà le racchiude e, al tempo stesso, ne costituisce solo una minima parte. Semplificando, potremo definire il Bushidō come un “codice etico e morale” che sottintende ogni aspetto della vita di un Bushi (questo è importante sottolinearlo, non tutti i guerrieri seguivano il Bushidō, anzi…).

Cominciamo col dire che il Bushidō, nella sue eccezione generale, è una “creazione” relativamente recente. La sua piena codifica, infatti, si fa risalire all’epoca Tokugawa, ovvero quel periodo di relativa pace instaurata alla fine del periodo Sengoku, dopo la celebre battaglia di Sekigahara del 1600.

Prima di allora esisteva già un “codice comportamentale” per il guerriero Samurai, ma si trattava di un’etica molto di facciata. Del resto in guerra c’è poco tempo da dedicare allo spirito, e i dettami sviluppati nei periodi Kamakura e Muromachi venivano quasi sempre ignorati sui campi di battaglia.
 
Il vero atto di nascita del Bushidō risale alla seconda metà del 1600, a opera del monaco samurai Yamamoto Tsunetomo, (1659-1719) autore del celeberrimo Hagakure (letteralmente “nascosto tra le foglie”, termine molto particolare che ha generato mari di illazioni, specialmente relative a un gruppo di guerrieri molto temuti nel Giappone feudale che di certo non seguivano il Bushidō… ne riparleremo…) in cui raccolse le regole di condotta dei Bushi, arricchendole con le dottrine del buddismo, del confucianesimo e dello shintoismo.
Da questo testo è nata la figura del Samurai che tutti ben conoscono e che, a onor del vero, non sempre corrispondeva alla realtà dei fatti…

Infatti il Bushidō svolse un ruolo fondamentale successivamente alla Restaurazione Meiji, quando, opportunamente “revisionato”, divenne il baluardo per giustificare il crescente nazionalismo giapponese che sfociò nella Seconda Guerra Mondiale.

A tutt’oggi il Bushidō che tutti intendono è per lo più questa versione “postmoderna”, piuttosto che quella descritta nell’Hagakure.

Il Bushidō più puro, quindi, è quello antecedente alla Restaurazione Meiji, in vigore durante i 3 secoli dello shogunato Tokugawa. Va anche detto che, troppo spesso, questo codice servì a giustificare comportamenti assai ipocriti della classe guerriera, frenata da troppi anni di pace.

Il Bushidō tradizionale si basa su 7 principi di base ai quali il Samurai doveva scrupolosamente attenersi e che dovevano condizionare ogni aspetto della propria esistenza.

 

, Gi: Onestà e Giustizia

Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

, Yuu: Eroico Coraggio

Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

, Jin: Compassione

L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una. La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.

, Rei: Gentile Cortesia

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

, Makoto o , Shin: Completa Sincerità

Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.

名誉, Meiyo: Onore

Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.

忠義, Chuugi: Dovere e Lealtà

Per il Samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.
 
Dall’applicazione di questi principi nasce quindi la figura “romantica” del Samurai, la cui esistenza ruotava attorno al totale rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore, valori che dovevano essere perseguiti in ogni istante della vita, fino alla morte.
Proprio la morte, in realtà, gioca un ruolo fondamentale nella vita del Bushi, nonostante l’apparente paradosso. E’ importante riportare a questo proposito un altro testo fondamentale che contribuì allo sviluppo del Bushidō, il famoso Go Rin no Sho, il Libro dei 5 Anelli, scritto dal famoso spadaccino Miyamoto Musashi.
 
In questo testo, una vera Bibbia per ogni cultore di Arti Marziali, Musashi scrive:

“in linea di massima il fondamento della via del
Samurai è la risoluta accettazione della morte
”.

Insomma, percorrere la Via del Samurai significa accettare che la Morte sia una costante compagna di viaggio, un modo, potremo dire, per esorcizzarla e smettere di temerla. Da qui nasce anche il rito del seppuku (evitare il termine harakiri, piuttosto volgare), in cui la morte diventa un vero e proprio rituale che il Bushi accetta di buon grado quando fallisce nel seguire un dettame del Bushidō.

Ninjutsu

Capitolo 1 – La parte oscura

E’, forse, il più antico comandamento dell’Uomo. Platone ne fece una sintesi in quel “conosci te stesso” che gli architetti greci immortalarono nella pietra Prima di allora Lao-Tze tramandava alle generazioni future la sua trentatreesima massima del già citato Tao-Te-Ching affermando che:

conoscere gli altri è saggezza
conoscere se stessi è illuminazione.
Dominare gli altri è forza
dominare se stessi è superiorità.
Ricco è colui che basta a se stesso
.”

Il più antico comandamento dunque.
Il più prezioso. Il più ignorato!
Le Arti Marziali in oriente nacquero come una delle strade attraverso cui approfondire questa conoscenza dell’unità tra spirito e corpo.

Essere un Praticante di Arti Marziali significava, in primo luogo, sondare ogni aspetto della propria più intima essenza, misurare i limiti delle proprie capacità, scandagliare le profondità delle proprie paure, lasciar emergere dagli abissi dell’inconscio tutta la nobiltà di cui si era capaci, tutta la violenza che vi era sepolta.

Perché nel “conosci te stesso” sono contenute tutte le possibili filosofie.
Perché l’universo, in fondo, non travalica i confini della nostra mente.
Con l’andar dei secoli, tuttavia, anche le Arti Marziali si imposero dei limiti.
Svilupparono,per così dire, una sorta di “pudore” per certi aspetti dell’animo umano. Un pudore che traeva origine dalla paura di affrontare il lato oscuro che è in ognuno di noi.
Si coltivò l’illusoria speranza che bastasse ignorare gli aspetti meno piacevoli della personalità umana per cancellarli, dimenticando che, in realtà, non si può cavalcare la tigre senza conoscerla.
Le Arti Marziali, anche quelle che, apparentemente, più si rifacevano alla tradizione rifiutando la suggestione occidentale di trasformarsi in sport, si mutilarono di una parte importante del loro corpo, divennero monche, virtualmente inutili per ciò che concerne la ricerca della Via.
Ma esiste veramente un “lato oscuro” nell’animo umano? Ed è davvero così importante farlo emergere? Non sarebbe forse meglio soffocarlo, reprimerlo, ignorarlo?
Gran parte della cultura occidentale vive in una specie di schizofrenia che tende a separare ciò che è giusto, bello, positivo da ciò che è considerato immorale, riprovevole, negativo. Dio e il Diavolo sono due realtà speculari ma divise…
In oriente, al contrario, il buio e la luce sono complementari, si fondono, ognuno di essi contenendo una piccola parte dell’altro.
Il male esiste come indispensabile parte del bene.

 

 

Al dualismo occidentale si contrappone la dialettica orientale.
E quanto l’immagine dell’Uomo affermatasi in oriente sia più rispondente alla realtà, la nostra scienza lo sta scoprendo solo ora.
Gli psicoanalisti sondano il nostro inconscio scoprendovi mostri che si credevano estinti, la cerebro-chirurgia rivela che possediamo tre distinti cervelli e che, in sostanza, i nostri antenati rettili continuano a coabitare nel nostro cranio, la moderna etologia riafferma il valore degli istinti aggressivi e la loro funzione determinante per l’equilibrio psichico e per quello sociale.
Il “lato oscuro”, dunque, esiste, è in ognuno di noi, in perenne agguato.
La risposta occidentale a questa constatazione è consona a tutta la sua cultura: l’aggressività, la violenza, la pulsione verso la morte vanno represse, negate, esorcizzate…
In questo modo l’uomo finisce col convivere con un altro se stesso che non conosce e che, di conseguenza, non sa e non può dominare.
Quando il lato oscuro decide di emergere, a dispetto di tutto e di tutti lo fa, quindi, in modo indomabile.
Ciò che le pagine di cronaca nera dei quotidiani chiamano “raptus”, “improvvisa ed inspiegabile crisi di pazzia”, è, spesso, solo il fulmineo manifestarsi della nostra parte nera.
Per di più ciò che non si conosce possiede sempre un particolare fascino: quando il Male che non si sapeva albergasse in noi compare con prepotenza o s’insinua lentamente nel nostro animo è facile abbandonarsi alle sue suggestioni.
Ed è proprio il modo di pensare che vede il bianco nettamente separato dal nero, che facilita il completo abbandono, repentino, al lato oscuro: è dalla grande devozione al Bene Assoluto che nascono gli orrori ed i sadismi dell’Inquisizione, sono i “cittadini integerrimi” che si trasformano in “giustizieri della notte”…
E’ la mancanza di capacità d’esser semplicemente uomini, con le proprie nobiltà d’animo e le proprie bassezze, che crea fanatici di ogni tipo, dal mistico assassino di prostitute al tifoso di calcio violento.
Un tempo le Arti Marziali servivano a ciò: scoprendo a poco a poco i propri aspetti più riposti e meno accettabili si apprendeva a non averne paura, a non subirne l’oscuro fascino.
Così era per il Ninjutsu, una delle Arti più antiche che rappresentava un momento importante della ricerca dell’Uomo di se stesso.
Il Ninjutsu insegnava anche ad uccidere.
In mille e più maniere, subdole, insinuanti. In modo da avere la quasi certezza dell’invincibilità e dell’impunibilità.
Un uomo che sappia di poter eliminare il proprio avversario senza rischio e senza essere scoperto è veramente padrone delle proprie scelte.
Per questo, il più delle volte, deciderà di non usare il suo potere. Non si lascerà accecare dall’ira, che sa controllare. Non colpirà per la paura, che sa dominare. Può guardare la Tigre negli occhi. E sorriderle.
Ma anche qualora scelga di usare le sue Arti per avvantaggiarsi in qualche modo o per estinguere una vita sarà stata una decisione lucida e totalmente sua di cui pagherà il prezzo nei rapporti con se stesso e con i propri simili.
La maggioranza delle Arti Marziali ha rinnegato questa ricerca.
La loro lenta evoluzione nei secoli ricorda quella che ha mutato il lupo selvaggio in un cane domestico.
Sono innegabili le qualità del cane eppure è il fiero lupo, conscio della sua forza, a non abusarne mai contro altri della sua specie.
E’ giusto e bello che esistano i cani. Ma quanto sarà più povero il mondo quando scomparirà l’ultimo dei lupi!
Questo è ciò che il Ninjutsu ha fatto (e continua a fare): Ha scelto il Lupo.
 
Perché ha deciso, tra l’altro, di credere ancora in quel “conosci te stesso” che è, forse, il più antico comandamento dell’Uomo.
 
 

Rif. Bruno Abietti, “Ninjutsu- L’ Arte dell’ Invisibilità

 

Ho riportato questo (stupendo) pezzo perché è stato il mio primo approccio verso le Arti Marziali in generale, il Ninjutsu in particolare e, incidentalmente, verso il paese del Sol Levante. Ero solo un ragazzino quando comprai e lessi avidamente questo libro… Da allora ho appreso molto, ma quelle parole non le ho mai scordate, e mi hanno sempre guidato nella ricerca della mia personale Via. Certo, il libro era molto romanzato, ma la mia passione è iniziata da lì e, soprattutto, mi ha fornito un modo di vedere le Arti Marziali che pochi hanno al giorno d’oggi. Un modo puro, arcaico, violento ma spirituale… Perché anch’io, come il mio mentore, ho scelto il Lupo…

 
Paolo Kenshin