il Giappone in Italia
Bushido
Chi si appassiona al Giappone avrà sicuramente sentito nominare il Bushidō, ma, come per tante realtà legate al Sol Levante, dietro a questo termine c’è molto più di quello che appare…
Se analizziamo il termine Bushidō (武士道) vediamo che è composto da due kanji, Bushi 武士 e Dō 道.
Il secondo è ben conosciuto, e di solito viene tradotto come “via”, “cammino”, anche se in realtà sottende altri significati ben più ampi, e in questo contesto si può tradurre bene con “morale”, “dottrina”. Il termine Bushi è ancora più complicato, ma in questo contesto possiamo tradurlo banalmente con “guerriero”.
Generalmente in occidente il Bushidō viene confuso con le Arti Marziali in genere, ma in realtà le racchiude e, al tempo stesso, ne costituisce solo una minima parte. Semplificando, potremo definire il Bushidō come un “codice etico e morale” che sottintende ogni aspetto della vita di un Bushi (questo è importante sottolinearlo, non tutti i guerrieri seguivano il Bushidō, anzi…).
Cominciamo col dire che il Bushidō, nella sue eccezione generale, è una “creazione” relativamente recente. La sua piena codifica, infatti, si fa risalire all’epoca Tokugawa, ovvero quel periodo di relativa pace instaurata alla fine del periodo Sengoku, dopo la celebre battaglia di Sekigahara del 1600.
Infatti il Bushidō svolse un ruolo fondamentale successivamente alla Restaurazione Meiji, quando, opportunamente “revisionato”, divenne il baluardo per giustificare il crescente nazionalismo giapponese che sfociò nella Seconda Guerra Mondiale.
A tutt’oggi il Bushidō che tutti intendono è per lo più questa versione “postmoderna”, piuttosto che quella descritta nell’Hagakure.
Il Bushidō più puro, quindi, è quello antecedente alla Restaurazione Meiji, in vigore durante i 3 secoli dello shogunato Tokugawa. Va anche detto che, troppo spesso, questo codice servì a giustificare comportamenti assai ipocriti della classe guerriera, frenata da troppi anni di pace.
Il Bushidō tradizionale si basa su 7 principi di base ai quali il Samurai doveva scrupolosamente attenersi e che dovevano condizionare ogni aspetto della propria esistenza.
義, Gi: Onestà e Giustizia
Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yuu: Eroico Coraggio
Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
仁, Jin: Compassione
L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una. La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.
礼, Rei: Gentile Cortesia
I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità
Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
忠義, Chuugi: Dovere e Lealtà
“in linea di massima il fondamento della via del
Samurai è la risoluta accettazione della morte”.
Ninjutsu
Capitolo 1 – La parte oscura
E’, forse, il più antico comandamento dell’Uomo. Platone ne fece una sintesi in quel “conosci te stesso” che gli architetti greci immortalarono nella pietra Prima di allora Lao-Tze tramandava alle generazioni future la sua trentatreesima massima del già citato Tao-Te-Ching affermando che:
“conoscere gli altri è saggezza
conoscere se stessi è illuminazione.
Dominare gli altri è forza
dominare se stessi è superiorità.
Ricco è colui che basta a se stesso.”
Il più antico comandamento dunque.
Il più prezioso. Il più ignorato!
Le Arti Marziali in oriente nacquero come una delle strade attraverso cui approfondire questa conoscenza dell’unità tra spirito e corpo.
Essere un Praticante di Arti Marziali significava, in primo luogo, sondare ogni aspetto della propria più intima essenza, misurare i limiti delle proprie capacità, scandagliare le profondità delle proprie paure, lasciar emergere dagli abissi dell’inconscio tutta la nobiltà di cui si era capaci, tutta la violenza che vi era sepolta.
Perché l’universo, in fondo, non travalica i confini della nostra mente.
Con l’andar dei secoli, tuttavia, anche le Arti Marziali si imposero dei limiti.
Svilupparono,per così dire, una sorta di “pudore” per certi aspetti dell’animo umano. Un pudore che traeva origine dalla paura di affrontare il lato oscuro che è in ognuno di noi.
Si coltivò l’illusoria speranza che bastasse ignorare gli aspetti meno piacevoli della personalità umana per cancellarli, dimenticando che, in realtà, non si può cavalcare la tigre senza conoscerla.
Le Arti Marziali, anche quelle che, apparentemente, più si rifacevano alla tradizione rifiutando la suggestione occidentale di trasformarsi in sport, si mutilarono di una parte importante del loro corpo, divennero monche, virtualmente inutili per ciò che concerne la ricerca della Via.Ma esiste veramente un “lato oscuro” nell’animo umano? Ed è davvero così importante farlo emergere? Non sarebbe forse meglio soffocarlo, reprimerlo, ignorarlo?
Gran parte della cultura occidentale vive in una specie di schizofrenia che tende a separare ciò che è giusto, bello, positivo da ciò che è considerato immorale, riprovevole, negativo. Dio e il Diavolo sono due realtà speculari ma divise…
In oriente, al contrario, il buio e la luce sono complementari, si fondono, ognuno di essi contenendo una piccola parte dell’altro.
Il male esiste come indispensabile parte del bene.
E quanto l’immagine dell’Uomo affermatasi in oriente sia più rispondente alla realtà, la nostra scienza lo sta scoprendo solo ora.
Gli psicoanalisti sondano il nostro inconscio scoprendovi mostri che si credevano estinti, la cerebro-chirurgia rivela che possediamo tre distinti cervelli e che, in sostanza, i nostri antenati rettili continuano a coabitare nel nostro cranio, la moderna etologia riafferma il valore degli istinti aggressivi e la loro funzione determinante per l’equilibrio psichico e per quello sociale.
Il “lato oscuro”, dunque, esiste, è in ognuno di noi, in perenne agguato.
La risposta occidentale a questa constatazione è consona a tutta la sua cultura: l’aggressività, la violenza, la pulsione verso la morte vanno represse, negate, esorcizzate…
In questo modo l’uomo finisce col convivere con un altro se stesso che non conosce e che, di conseguenza, non sa e non può dominare.
Quando il lato oscuro decide di emergere, a dispetto di tutto e di tutti lo fa, quindi, in modo indomabile.
Ciò che le pagine di cronaca nera dei quotidiani chiamano “raptus”, “improvvisa ed inspiegabile crisi di pazzia”, è, spesso, solo il fulmineo manifestarsi della nostra parte nera.
Per di più ciò che non si conosce possiede sempre un particolare fascino: quando il Male che non si sapeva albergasse in noi compare con prepotenza o s’insinua lentamente nel nostro animo è facile abbandonarsi alle sue suggestioni.
Ed è proprio il modo di pensare che vede il bianco nettamente separato dal nero, che facilita il completo abbandono, repentino, al lato oscuro: è dalla grande devozione al Bene Assoluto che nascono gli orrori ed i sadismi dell’Inquisizione, sono i “cittadini integerrimi” che si trasformano in “giustizieri della notte”…
E’ la mancanza di capacità d’esser semplicemente uomini, con le proprie nobiltà d’animo e le proprie bassezze, che crea fanatici di ogni tipo, dal mistico assassino di prostitute al tifoso di calcio violento.
Così era per il Ninjutsu, una delle Arti più antiche che rappresentava un momento importante della ricerca dell’Uomo di se stesso.
Il Ninjutsu insegnava anche ad uccidere.
In mille e più maniere, subdole, insinuanti. In modo da avere la quasi certezza dell’invincibilità e dell’impunibilità.
Un uomo che sappia di poter eliminare il proprio avversario senza rischio e senza essere scoperto è veramente padrone delle proprie scelte.
Per questo, il più delle volte, deciderà di non usare il suo potere. Non si lascerà accecare dall’ira, che sa controllare. Non colpirà per la paura, che sa dominare. Può guardare la Tigre negli occhi. E sorriderle.
Ma anche qualora scelga di usare le sue Arti per avvantaggiarsi in qualche modo o per estinguere una vita sarà stata una decisione lucida e totalmente sua di cui pagherà il prezzo nei rapporti con se stesso e con i propri simili.
La maggioranza delle Arti Marziali ha rinnegato questa ricerca.
La loro lenta evoluzione nei secoli ricorda quella che ha mutato il lupo selvaggio in un cane domestico.
Sono innegabili le qualità del cane eppure è il fiero lupo, conscio della sua forza, a non abusarne mai contro altri della sua specie.
E’ giusto e bello che esistano i cani. Ma quanto sarà più povero il mondo quando scomparirà l’ultimo dei lupi!
Questo è ciò che il Ninjutsu ha fatto (e continua a fare): Ha scelto il Lupo.
Rif. Bruno Abietti, “Ninjutsu- L’ Arte dell’ Invisibilità”
Ho riportato questo (stupendo) pezzo perché è stato il mio primo approccio verso le Arti Marziali in generale, il Ninjutsu in particolare e, incidentalmente, verso il paese del Sol Levante. Ero solo un ragazzino quando comprai e lessi avidamente questo libro… Da allora ho appreso molto, ma quelle parole non le ho mai scordate, e mi hanno sempre guidato nella ricerca della mia personale Via. Certo, il libro era molto romanzato, ma la mia passione è iniziata da lì e, soprattutto, mi ha fornito un modo di vedere le Arti Marziali che pochi hanno al giorno d’oggi. Un modo puro, arcaico, violento ma spirituale… Perché anch’io, come il mio mentore, ho scelto il Lupo…